Il gioco della paura





Il gioco della paura



Le coperte lo avvolgevano dolcemente, stringendolo quasi fino a farlo rassomigliare ad una larva di lana, da cui venivano fuori sussurri a stento percettibili: era il suo respiro celato al di sotto della coperta, visibile appena alla luce della console portatile che stringeva fra le mani, insieme alla condensa che appariva e svaniva sul display. Le cuffie nelle sue orecchie lo trasportavano in un mondo parallelo, distante fisicamente e spiritualmente da quel caldo letto su cui comodamente giaceva rannicchiato, con gli occhi fissi sullo schermo. Quegli ambienti soffusi, intrisi di mistero e terrore, con quelle creature che si agitavano nelle tenebre, mordendo e grugnendo, erano il suo modo di affrontare ogni paura.
Spesso, da piccolo, gli capitava di svegliarsi nel cuore della notte, ritrovandosi a stringere a sé quell’orsacchiotto dal fiocco rosso che l’aveva accompagnato per tutta la sua infanzia, rintanandosi sotto le lenzuola per evitare di vedere i contorni nella penombra della stanza; quel rito era stato il suo modo di sopravvivere alla notte, ai suoi rumori sinistri, alle mani dai lunghi artigli che strisciavano all'esterno del letto ed agli innumerevoli uomini neri, che facevano la loro comparsa fra le luci che filtravano attraverso le finestre.
Gli anni erano trascorsi, ma quel ricordo non era ancora svanito. Lui, come chissà quanti altri da piccoli, accarezzava quell’orsacchiotto come fosse il suo più fedele compagno d’avventura, consapevole che mai l’avrebbe abbandonato, e che l’avrebbe protetto dalle creature delle tenebre. Ma ora, sotto quelle coperte, l'avanzare degli anni aveva cambiato molte cose, ed una più di tutte: la paura era divenuta un mezzo per esorcizzare i propri demoni. L’amava talmente tanto da portarla con sé all’interno di quel castello di stoffe calde, dove tutto, un tempo, appariva protetto e sicuro.
Ora lo accompagnava l’incessante battere delle dita sui tasti della console, mentre evitava, colpiva ed ammazzava quei mostri che tentavano di uccidere il suo personaggio virtuale. Anzi, provavano ad uccidere proprio lui: poiché in quel momento si sentiva egli stesso il vero personaggio, totalmente trasportato all’interno di quello schermo nei panni del suo eroe; tutt’altro che un semplice orsacchiotto: un membro della polizia, abbandonato a sé stesso, munito di fucile a pompa e machete. Le atmosfere create dalla colonna sonora lo seguivano in quelle vicende, con cantilene da brivido e sbalzi di trombe da cardiopalma.
Il rintoccare dei passi sul legno di quella stanza ombrosa, sulla quale una pallida luna si affacciava dalle vetrate parzialmente sbarrate, echeggiava nella sua testa, quasi si trovasse realmente lì, mentre il respiro del protagonista era ormai sincrono al suo. I piedi gelidi del ragazzo si agitarono appena sotto le coperte, quasi ci fosse uno spiffero, cercando di tapparlo: non trovò niente. Si limitò a strofinarli per cercare di scaldarsi; pareva essere una di quelle notti in cui il freddo ti afferra i piedi proprio quando non hai le calze, ed a tratti credi che qualcosa di corporeo stia per tirarti fuori dal letto. Era una sensazione piacevole, dopotutto. Rabbrividì al pensiero, pronto a riportare la sua attenzione sullo schermo.
Ritornò al suo gioco sollevando il volume della console, immergendosi nella prossima stanza. Quella melodia che tanto amava (ed odiava) si levò nuovamente dal rintocco dei suoi passi, crescendo in ritmo e tonalità: un violino struggente che ricordava il pianto e la malinconia, accompagnato presto da un secondo più basso e cupo, che evocava l’angoscia del buio e dell’ignoto; poi si levò un pianoforte lento e ridondante, tanto da poter entrare nella testa senza più lasciarla, accompagnato da un crescente coro di voci fanciullesche che tremavano, sussurrando qualcosa in latino che lui non era mai riuscito a comprendere. Ciò di cui era certo, però, era che quella melodia fosse dannatamente terrificante, ed ogni volta rabbrividiva nell’udirla; ma non poteva farne a meno.
Amava ascoltarla anche al di fuori del gioco, mentre camminava nelle zone buie, quasi volesse imitare il proprio eroe; per fortuna nulla era mai sbucato dalle strade deserte della città per tentare di mangiarlo.
Il gioco s’interruppe improvvisamente, lasciando spazio ad un video ben strutturato: dava l’impressione di essere immersi all’interno della storia. Gli occhi del protagonista ora si spacciavano per gli stessi del ragazzo, spostandosi lentamente fra i contorni di una stanza da letto impolverata e macchiata di sangue. Strane ombre si muovevano agli angoli delle pareti, simili a tentacoli pronti ad afferrarlo. L’unica fonte certa di luce, una torcia, illuminava i suoi passi, mettendo in risalto insanguinate tracce informi di piedi sul pavimento di legno; esse conducevano ad un letto con delle coperte rigonfie. Con la mano tremante scostò le lenzuola pregne di sangue incrostato, sussultando per il consueto “tuono da cliché” consono alla maggior parte di quei giochi. Al di sotto non trovò niente. Tirò un sospiro di sollievo. Il protagonista scorse qualcosa ai piedi del letto. S’inchinò lentamente.
Raccolse una zampetta di pezza, ed i filamenti di questa lo condussero ad altri pezzi sparsi al di sotto del giaciglio. Erano i resti di un orsacchiotto. Il ragazzo sorrise, dato che quel pupazzo gi riportò alla mente il suo, perso chissà dove tempo addietro.
-“Un altro Teddy Bear finito male in uno scontro durante la notte?! Spero di non fare la sua stessa
fine. Riposa in pace.”, esclamò ironicamente il protagonista, prima di gettarlo nuovamente a terra e proseguire avanti.
- “Un altro umano finito nell’abbraccio delle ombre”, rispose una tetra voce gutturale all’interno della stanza.
Il protagonista si guardò intorno sbigottito, ma niente o nessuno si palesò ai suoi occhi come interlocutore. Una macabra risata riempì il silenzio, mentre la porta da cui aveva effettuato l’accesso andava a chiudersi prepotentemente alle sue spalle; inutile fu il tentativo di aprirla. Una serie di scure liane presero ad emergere dall'ingresso, protendendosi verso l’uomo, privandolo in tal modo dell’unica fonte di luce che aveva a sua disposizione. Arretrò impietrito, mettendo mano al fucile che aveva con sé: doveva esserci assolutamente qualcosa nell’ombra, ma cosa?
Il video lasciò il ragazzo nuovamente al gioco, mentre un’incalzante sinfonia, capace di far crescere in lui l’ansia di star per morire, cominciò a tormentarlo. Si guardò attorno freneticamente, sparando alcuni colpi verso qualcosa che pareva muoversi sul fondo della stanza; rispose l’ennesima risata.
« Dove sei maledetto?! », sbuffò il ragazzo stringendo i denti, agitando la console..
-“ Avresti dovuto avere maggior cura di chi ti ha protetto a lungo. Ci deve essere un nesso fra due
amici: ci si protegge egualmente quando i tempi mutano e le menti crescono”.
- “Amici? Sono solo in questo inferno. Fatti vedere creatura, ed il mio fucile ti dimostrerà felicemente in che modo so proteggermi: non ho bisogno di nessuno che lo faccia al posto mio!”, rispose il protagonista con il consueto tono da eroe. “Vediamo quanto le tenebre sapranno proteggerti dal mio fucile a pompa!” (il ragazzo rise di gusto).
-“Le tenebre hanno una grande forza: sottovalutarle è tipico di coloro che stanno per divenire il loro pasto. La tua arma non può niente contro l’ombra. Tu non puoi niente contro di essa. TU hai a tua volta commesso questo errore e, come tutti, sarai egualmente preda del tuo stesso mancato giuramento!”.
Qualcosa si sollevò da sotto il letto, assumendo maggiore imponenza. Ma con tutta quell’ombra era difficile riuscire a distinguere le sue fattezze. Il ragazzo fece spostare il protagonista in un ampio spiazzo della stanza, pronto ad evitare l’attacco del mostro. Era la sua tattica, evitare e poi colpire. Ogni nemico, presumibilmente un boss, aveva necessariamente bisogno di un tot di tempo prima di poter scagliare il suo assalto e, proprio in quel frangente, per quanto gli fosse impossibile vedere il mostro, l’avrebbe ucciso.
Inaspettatamente partì l’ennesimo video. Il protagonista sparò un colpo dal suo fucile, illuminando parzialmente la stanza. Intravvide solo un fiocco rosso, due grossi occhi vuoti ed alcuni punti bianchi luminosi, simili a denti. Sparò nuovamente, ma nient’altro si palesò. Pareva che il mostro fosse parecchio resistente.
Altri due colpi vennero esplosi sulla finestra, quindi fece per lanciarsi verso di essa. Comparve un tasto sullo schermo, ed il ragazzo pigiò quello sbagliato. Un artiglio dilaniò la schiena del protagonista, schiantandolo a terra ed elargendo una considerevole quantità di sangue sullo schermo, rendendo la visuale ancora più precaria. Il personaggio strisciò a fatica contro il muro, mentre una sinfonia colma di tensione rintoccava nelle orecchie del ragazzo, annunciando la sua imminente morte.
Due immense fauci gli si schiusero dinanzi ed addentarono il suo volto, sbranandolo. La console vibrò nelle sue mani, rivelando sullo schermo una scena splatter di puro orrore, ove una bestia inferocita, insanguinata e ricucita in più parti dilaniava le carni del protagonista. La scritta “Sei morto” sbavò sull’offuscato scenario ripreso nella raccapricciante immagine.
Il ragazzo sbuffò.
Controllò l’ora: erano le 3:00 del mattino, e l’ultimo checkpoint era ad un’eternità di distanza dal punto della sua morte, eppure non poteva rassegnarsi all’idea d’essere stato sconfitto. Il suo cuore batteva all’impazzata, quella scena e quel dialogo l’avevano inquietato. Infine, proprio mentre stava per riprendere, la console si spense. Batteria scarica.
Sbuffò nuovamente, poggiando la testa contro il cuscino.
Sotto quelle coperte si poteva dire si fosse creato un vero e proprio ecosistema a parte. Sembrava estate. Chiuse gli occhi, riportando alla mente quella scena appena vissuta, e la curiosità iniziò a far crescere il lui il desiderio di attaccare il dispositivo al caricabatterie, ed iniziare nuovamente a giocare.
Un violino struggente, accompagnato presto da un altro più basso e cupo, evocante l’angoscia del buio e dell’ignoto, riempì il silenzio; poi si levò un pianoforte lento e ridondante, seguito da un crescente coro di voci fanciullesche che tremavano, annunciando qualcosa in latino. Al ragazzo occorsero alcuni secondi per rendersi conto che quella situazione non fosse frutto della sua mente. Aprì gli occhi, ed osservò lo schermo della console: era spento.

Con un sorriso inquietato sulle labbra, notò quella spia rossa accanto al tasto di accensione, e ridacchiando, ma senza negare a se stesso di essersela appena fatta sotto dalla paura, premette il tasto di spegnimento del dispositivo. Eppure, la musica non venne meno. Il respiro si fece appena più affannato e, convito di aver compreso, tolse le cuffie. La musica non si fermò. Rabbrividì sotto le coperte, ed istintivamente si mise a sedere sul letto, andando a cercare l’interruttore della lampada al suo fianco; lo premette, ma la lampadina non si accese.
La stanza si riempì del suono di pesanti passi sul legno, ed il ragazzo si accorse che una pallida luna illuminava la sua camera, attraversando la tapparella usurata. Il cuore gli balzò in gola quando vide un'ombra crescere nei pressi della sua porta, contrastando il pallore della luce.
- “È solo il frutto della mia immaginazione…”, si ripeté mentalmente, non riuscendo però a scacciare quella musica delle sue orecchie, che si fece anzi ancora più assordante. “Non c’è niente in più nell’oscurità che non sia presente nella luce”, si disse ancora, ricordando le parole del nonno.
« Le tenebre sono già qualcosa in più rispetto alla luce. Esse vivono. Esse si nutrono della luce »,
esordì una voce gutturale nei pressi dell’ingresso della stanza. « E non solo…».
« Tu non esisti…sei solo una mia illusione. Mi basterà chiudere gli occhi, e tu non esisterai più ».
« Allora chiudili. Se sei convinto delle tue parole... chiudili », rispose la voce.
Il ragazzo si sforzò di chiudere gli occhi, ma quella voce era fin troppo reale per sembrare un’illusione. Alla fine, però, con il cuore che batteva all’impazzata, riuscì a prendere coraggio ed a serrarli, autoconvincendosi che fosse solo la sua immaginazione.
Sentì i suoi piedi gelidi divenire ancora più freddi, ed avvertì come un alito glaciale sulla punta delle dita. Poi, percepì la coperta scivolare via, ed il gelo afferrargli le gambe ed il busto. Udì il letto cigolare sotto un gravoso peso. I suoi denti cominciarono a battere impetuosamente.
Tutto ciò è frutto della mia immaginazione! I mostri non esistono!”, si ripeté nuovamente.
« Chi sei? », domandò tremante, ma senza aprire gli occhi. Cominciò a lacrimare. Pur non volendo crederci, non riusciva a distogliere la sua mente dal pensiero che quella cosa fosse lì e sembrasse reale.
« Qualcuno che ti ha sempre protetto dalle tenebre, ma che hai scordato di aiutare », rispose tetra la voce. Poi emise un macabro verso gutturale, simile a quello dei cinghiali « E si, ragazzino…I mostri esistono ».
Il ragazzo schiuse gli occhi. Intravvide delle immense fauci e degli affilati denti. 
Due iridi vuote ed un fiocco rosso.
« Teddy Bear, sei tu? ».



Ringrazio Simone per la correzione delle bozze.

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