venerdì 27 maggio 2016

Life is Strange - Oltre la narrazione






Life is Strange. E come dargli torto, dopotutto?
Sono convinto che i libri, come le Serie TV e determinati Videogames debbano essere vissuti col tempo, e mai tutti d'un fiato. Un errore da principianti, forse, ma quel legame che si viene a creare con l'opera e lo spettatore diviene indissolubile, invincibile su tutto. Ti rende schiavo, sgusciandoti dentro come fosse una parte di te, e lì rimane. Sempre. Ma è col tempo che siamo abituati a fare esperienze, e questi capolavori non sono da meno: devono essere vissuti come tali, giorno per giorno.
Spesso, invece, ci lasciamo trascinare da un'overdose di emozioni, che talvolta non siamo neanche in grado di gestire o identificare. Perché? Troppe, per coglierne le sfumature, eppure le facciamo nostre, inconsciamente. È un processo che richiede tempo e spazio, e che dalla forma embrionale cresce dentro di noi, sino a rivelarsi all'improvviso.
A prescindere dal modo col quale ci approcciamo a certe opere, però, ci lasciamo coinvolgere presto nel vortice delle sue vicende, e tutto per un po', anche la nostra realtà, ci apparirà fittizia, irreale. Siamo lì, in quel preciso momento, nella scena che ci viene descritta; il resto non conta. Chi siamo, dove viviamo, che lavoro facciamo e le persone che conosciamo svaniscono, in futili dettagli che non hanno più rilevanza in quella circostanza.
Life is Strange inizia con una premessa, con un patto non detto, ma sussurrato dagli eventi: tutto comincia e tutto finisce; è questo il corso del tempo. Cambiarlo è solo il desiderio egoistico dell'uomo. Cambiarlo induce al paradosso, allo stravolgimento di tutto ciò di cui siamo certi. Insomma, l'avventura psicologica di quest'opera ci porta sin dentro l'animo umano, invitandoci a riflettere sulle nostre scelte, mettendo ogni cosa e noi stessi in discussione. In realtà, quella che ci viene mostrata non è altro che la vita di tutti noi, costruita sui dubbi, sulla diffidenza, sull'indifferenza. E nella parte finale, il concetto di “ipocrisia” viene sputato come veleno, ma non su Max, bensì sullo stesso spettatore. Max stessa infrange la quarta barriera, per guardarti dritto negli occhi, e dirti la verità, quella che nessuno di noi vuole stare a sentire: “siamo ipocriti, nel profondo, e non possiamo fare a meno di illuderci che sia diverso, che NOI siamo diversi. Non ci interessano i pensieri degli altri, a meno che non siano ostili o dannosi nei nostri confronti. Prediligiamo l'odio alla bontà. È l'essere umano”.
Occorre tempo, come dicevo, per assimilare tutto quello che Life Is Strange vuole raccontarci, ma alla fine, come alla conclusione di qualcosa che è riuscita a toccarci nell'animo, ci lascia un vuoto. Un senso d'impotenza. Tutto il tragitto compiuto per arrivare nuovamente al faro, davanti alla tempesta, all'uragano, acquista un senso, e ti pone davanti ad una scelta: ciò che vuoi, e ciò che sarebbe giusto. La scelta spetta al giocatore, che però è consapevole di star perdendo anch'egli qualcosa con quella precisa decisione. Perché siamo empatici, e alla fin fine ci immedesimiamo nel personaggio che stiamo giocando. E così si apre una via per un finale sulla stessa scia di “The Last Of Us”. Il mondo non m'importa, e vogliamo solo ciò per cui abbiamo combattuto. Perché diciamocelo, fare la fatidica “scelta giusta” corrisponde ad andare contro ai nostri desideri. Farlo per un “bene comune”.
Potrei dilungarmi ore sulla scelta della colonna sonora che accompagnano la narrazione, magnifica e ben capace di trascinarci in quel frammento di mondo irreale, eppure incredibilmente vero nella nostra mente. Ogni brano rappresenta una calma apparente, ma che può essere stravolta con niente. L'esperienza che ci viene proposta, a mia detta, è come un dolce invito alla riflessione sull'elaborazione di un lutto, che tutti noi prima o poi dobbiamo affrontare: la perdita di un amico, o di un familiare. Dentro vorremmo poter cambiare le cose, ed immaginiamo di poterlo fare. Possiamo scegliere di vivere nella nostra fantasia, abbandonando così la provata Arcadia Bay alla sua desolazione, oppure tornare a vivere nel mondo reale, dove Chloe è morta. Trovo sia esemplare e piuttosto simbolica la scena dei binari: entrambe camminano su due linee parallele, ma che sono destinate a non incontrarsi mai; perlomeno, nella realtà che tutti conoscono. A noi la scelta di poter dire che La vita è strana, e non ci riserva mai quel che vogliamo realmente.
Concludo con una riflessione: “Le persone dovrebbero cominciare ad apprezzare questi viaggi onirici per quel che sono, mettendo da parte i pregiudizi sulla tipologia di narrazione che ci viene proposta. Questo è il futuro che ci attende, dove quello che può sembrare un – semplice – gioco si trasforma in una lezione di vita.”

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