venerdì 3 aprile 2015

L'Arte della Felicità - Un piccolo capolavoro italiano


Ogni tanto ci capita di rimanere stupiti, ed è in quel preciso istante che vediamo coloro che ci circondano per quello che realmente sono: un branco di stupidi. Ed è difficile riuscire a trovare in quella marea di invertebrati qualcuno che sia finalmente in grado di alzarsi e guardarsi attorno, invece di continuare a strisciare come tutti gli altri nel melmoso fango che costituisce le basi della nostra attuale società... l'Italia di oggi...
La cosa più difficile da digerire – e da ammettere – purtroppo, è la consapevolezza di esser stati a nostra volta parte di quel branco. Siamo stati ciechi tanto a lungo, forse proprio perché siamo stati troppo impegnati a cercare di evitare i sacchi d'immondizia che ci vengono scagliati addosso, piuttosto che a capire quanti altri, come noi, tentano di evadere dalla routine che la società ci vuole imporre, e che tanto facilmente sembra riuscire ad addomesticare quel grande popolo che un tempo gli Italiani furono.
Questo rabbioso inizio, critico direi io, trovo descriva in modo esaustivo un tema fondamentale per inoltrare questo piccolo capolavoro: L'Arte della Felicità.



È trascorso oltre un anno e mezzo dal momento in cui questo film è “arrivato” nelle sale, eppure quanti conoscevano il lungometraggio di Alessandro Rak? 2013, anno sfortunato, o semplicemente “paese sfortunato”? O potremmo dire paese dealfabetizzato della propria arte? L'ignoranza rompe i propri argini, e trascina via tutto ciò che in secoli di gloria è stato creato con tanta fatica. Io lo chiamo “Il Medioevo dell'Arte”.
Ammetto amaramente che ho scoperto questo prezioso lavoro solo grazie ad un noto youtuber italiano, Dario Moccia, che nel suo canale tratta principalmente il mondo del fumetto, lo stesso campo a cui bisogna indubbiamente collegare il lavoro di Alessandro Rak. Generalmente viene definito semplicemente “cartone animato”, e questa definizione viene troppo spesso associata (ancora oggi, nel 2015) ad un lavoro adatto unicamente ai bambini, e che niente può essere in grado di trasmettere al “colto” pubblico adulto. Così, dopo aver visionato la parte finale di questo video  ho cercato subito l'argomento in questione, spinto dall'idea che Dario Moccia aveva trasmesso della sua visione. 
 

Un film animato italiano, cosa che da subito mi ha sorpreso. L'ultimo che ricordavo risaliva a “La gabbianella e il gatto”, film che da bambino apprezzai parecchio, ma che non incarnava esattamente il prodotto italiano, proprio perché tratto dall'omonima opera di un artista cileno. L'Arte della Felicità è quindi un prodotto italiano, pensato da italiani e realizzato dagli stessi, dunque mi sentivo orgoglioso di cercarlo e di poterlo guardare. Purtroppo non mi è stato possibile farlo al cinema, ed ho dovuto ripiegare sullo strumento meno opportuno per un progetto che avrei voluto supportare non solo con le mie parole ma con i miei soldi. Cercherò di rimediare con l'acquisto del DVD che vi consiglio qui: http://www.lafeltrinelli.it/cinema/dvd-film/alessandro-rak/l-arte-felicita/8019824917304
Ma parliamo di ciò che ha da raccontare questo film, e del perché sento di doverlo ritenere un piccolo capolavoro.
In 82' minuti l'idea di Alessandro Rak prende vita, parlandoci di una realtà che Napoli vive e soffre; la riflessione sulla città è in realtà uno specchio che riflette l'Italia che tutti conosciamo e lamentiamo. Non voglio spoilerare, quindi sarò il più enigmatico possibile sulla trama:
Sergio, un tassista napoletano che ha preso la decisione di non scendere più dal proprio taxi a causa di un lutto, affronterà un percorso di accettazione che lo porterà a fare i conti col proprio passato. I suoi clienti si raccontano, accompagnati dal sottofondo creato dall'incessante pioggia e dalla radio sintonizzata sul programma “L'Arte della Felicità”. Tutte quelle storie rievocano nella sua mente i ricordi di un sogno sfumato e tramutato in un presente insoddisfacente, rispetto alle grandi aspirazioni giovanili; lo renderanno presto l'unico vero passeggero dell'infinità corsa che ha iniziato, e che avrà come destinazione la verità di un segreto taciuto troppo a lungo.
Gli elementi come la mondezza e la pioggia hanno il compito non solo di raccontarci la situazione del nostro paese/mondo, ma anche dell'indicare uno status emotivo che trionfa in ogni inquadratura, trascinando lo spettatore dentro l'animo di Sergio. I clienti del taxi avranno un ruolo fondamentale, così come lo speaker del programma, nel percorso di accettazione che il protagonista affronterà per comprendere le sue scelte ed i propri desideri, perennemente in conflitto. Si ritroverà ad affrontare sé stesso e tutti coloro che ama, ma non senza lasciarci emotivamente segnati da quella stessa pellicola che, indirettamente, vuole raccontarci qualcosa che già sappiamo, ma spesso dimentichiamo.
Cosa rende però questo film, come tante altre volte ho già detto, un piccolo capolavoro?
Essenzialmente una minuziosa cura del messaggio che passa attraverso questo veicolo lungo poco meno di un'ora e mezzo. I personaggi sono caratterizzati in modo da raccontarci un mondo, ma anche il protagonista, ed allo stesso tempo da farci fare i conti con la nostra quotidianità. La narrazione finisce infine per infrangere la quarta parete, tipica del teatro, con un monologo che consente a Sergio di parlare direttamente agli spettatori, vomitandogli in faccia tutta la sua indignazione: è una scena che ferisce, e che riesce ad arrivare al cuore di un popolo che ha smarrito la propria identità artistica, o semplicemente a cui è stata sotterrata da chi aveva, ed ancora ha il potere di farlo.
Insomma, quello che emerge da questo film è una realtà che tutti conosciamo, eppure non vogliamo vedere; assistiamo ogni giorno alla distruzione dell'arte a vantaggio del guadagno, in un'Italia che troppo spesso premia i furbi ed i prepotenti, piuttosto che gli artisti e gli onesti. Ci ritroviamo in quello che, ripeto, definisco il “Medioevo dell'Arte Italiana” dove in ogni campo ciò che si è creato in secoli di evoluzione sta gradualmente andando in frantumi. Perché mai, per essere valorizzato, un italiano meritevole deve essere prima scoperto (sempre che ciò accada) negli altri paesi?
Questo film dimostra come l'arte non sia affatto supportata per privilegiare la spazzatura che oggigiorno riempie le sale dei cinema, le librerie, i palchi ed in negozi di musica. Questa pellicola è arrivata nelle sale italiane, ma è stata proiettata pochissime sale. Può esserci stato un problema di pubblicità, forse, ma è possibile che sia stato dato così poco rilievo a qualcosa di cui potremmo andare fieri?
Un'altra ipotesi che posso sollevare, ed è quella che più mi terrorizza, è che la colpa di tutto ciò potrebbe non essere solo di quei pochi che continuano a propinare alla gente questa spazzatura, ma anche di coloro che hanno scelto di vivere per ciò che gli viene offerto, senza più ricercare e ragionare con le proprie teste: un essere umano dovrebbe essere in grado di decidere secondo i propri gusti, non secondo standard editoriali promossi per identificare una massa. Che gli italiani abbiano smarrito realmente la propria identità artistica e culturale? 


- G.G. Pintore 

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