Ogni tanto ci
capita di rimanere stupiti, ed è in quel preciso istante che vediamo
coloro che ci circondano per quello che realmente sono: un branco di
stupidi. Ed è difficile riuscire a trovare in quella marea di
invertebrati qualcuno che sia finalmente in grado di alzarsi e
guardarsi attorno, invece di continuare a strisciare come tutti gli
altri nel melmoso fango che costituisce le basi della nostra attuale
società... l'Italia di oggi...
La cosa più
difficile da digerire – e da ammettere – purtroppo, è la
consapevolezza di esser stati a nostra volta parte di quel branco.
Siamo stati ciechi tanto a lungo, forse proprio perché siamo stati
troppo impegnati a cercare di evitare i sacchi d'immondizia che ci
vengono scagliati addosso, piuttosto che a capire quanti altri, come
noi, tentano di evadere dalla routine che la società ci vuole
imporre, e che tanto facilmente sembra riuscire ad addomesticare quel
grande popolo che un tempo gli Italiani furono.
Questo
rabbioso inizio, critico direi io, trovo descriva in modo esaustivo
un tema fondamentale per inoltrare questo piccolo capolavoro: L'Arte
della Felicità.
È trascorso
oltre un anno e mezzo dal momento in cui questo film è “arrivato”
nelle sale, eppure quanti conoscevano il lungometraggio di Alessandro
Rak? 2013, anno sfortunato, o semplicemente “paese sfortunato”? O
potremmo dire paese dealfabetizzato della propria arte? L'ignoranza
rompe i propri argini, e trascina via tutto ciò che in secoli di
gloria è stato creato con tanta fatica. Io lo chiamo “Il
Medioevo dell'Arte”.
Ammetto
amaramente che ho scoperto questo prezioso lavoro solo grazie ad un noto
youtuber italiano, Dario Moccia, che nel suo canale tratta
principalmente il mondo del fumetto, lo stesso campo a cui bisogna
indubbiamente collegare il lavoro di Alessandro Rak. Generalmente
viene definito semplicemente “cartone animato”, e questa
definizione viene troppo spesso associata (ancora oggi, nel 2015) ad
un lavoro adatto unicamente ai bambini, e che niente può essere in
grado di trasmettere al “colto” pubblico adulto. Così, dopo aver
visionato la parte finale di questo video ho
cercato subito l'argomento in questione, spinto dall'idea che Dario
Moccia aveva trasmesso della sua visione.
Un film
animato italiano, cosa che da subito mi ha sorpreso. L'ultimo che
ricordavo risaliva a “La gabbianella e il gatto”, film che da
bambino apprezzai parecchio, ma che non incarnava esattamente il
prodotto italiano, proprio perché tratto dall'omonima opera di un
artista cileno. L'Arte della Felicità è quindi un prodotto
italiano, pensato da italiani e realizzato dagli stessi, dunque mi
sentivo orgoglioso di cercarlo e di poterlo guardare. Purtroppo non
mi è stato possibile farlo al cinema, ed ho dovuto ripiegare sullo
strumento meno opportuno per un progetto che avrei voluto supportare
non solo con le mie parole ma con i miei soldi. Cercherò di
rimediare con l'acquisto del DVD che vi consiglio qui:
http://www.lafeltrinelli.it/cinema/dvd-film/alessandro-rak/l-arte-felicita/8019824917304
Ma parliamo
di ciò che ha da raccontare questo film, e del perché sento di
doverlo ritenere un piccolo capolavoro.
In 82' minuti
l'idea di Alessandro Rak prende vita, parlandoci di una realtà che
Napoli vive e soffre; la riflessione sulla città è in realtà uno
specchio che riflette l'Italia che tutti conosciamo e lamentiamo. Non
voglio spoilerare, quindi sarò il più enigmatico possibile sulla
trama:
Sergio, un tassista napoletano che ha preso la decisione di
non scendere più dal proprio taxi a causa di un lutto, affronterà
un percorso di accettazione che lo porterà a fare i conti col
proprio passato. I suoi clienti si raccontano, accompagnati dal
sottofondo creato dall'incessante pioggia e dalla radio sintonizzata
sul programma “L'Arte della Felicità”. Tutte quelle
storie rievocano nella sua mente i ricordi di un sogno sfumato e
tramutato in un presente insoddisfacente, rispetto alle grandi
aspirazioni giovanili; lo renderanno presto l'unico vero passeggero
dell'infinità corsa che ha iniziato, e che avrà come destinazione
la verità di un segreto taciuto troppo a lungo.
Gli elementi
come la mondezza e la pioggia hanno il compito non solo di
raccontarci la situazione del nostro paese/mondo, ma anche
dell'indicare uno status emotivo che trionfa in ogni inquadratura,
trascinando lo spettatore dentro l'animo di Sergio. I clienti del
taxi avranno un ruolo fondamentale, così come lo speaker del
programma, nel percorso di accettazione che il protagonista
affronterà per comprendere le sue scelte ed i propri desideri,
perennemente in conflitto. Si ritroverà ad affrontare sé stesso e
tutti coloro che ama, ma non senza lasciarci emotivamente segnati da
quella stessa pellicola che, indirettamente, vuole raccontarci
qualcosa che già sappiamo, ma spesso dimentichiamo.
Cosa rende
però questo film, come tante altre volte ho già detto, un piccolo
capolavoro?
Essenzialmente
una minuziosa cura del messaggio che passa attraverso questo veicolo
lungo poco meno di un'ora e mezzo. I personaggi sono caratterizzati
in modo da raccontarci un mondo, ma anche il protagonista, ed allo
stesso tempo da farci fare i conti con la nostra quotidianità. La
narrazione finisce infine per infrangere la quarta parete, tipica del
teatro, con un monologo che consente a Sergio di parlare direttamente
agli spettatori, vomitandogli in faccia tutta la sua indignazione: è
una scena che ferisce, e che riesce ad arrivare al cuore di un popolo
che ha smarrito la propria identità artistica, o semplicemente a cui
è stata sotterrata da chi aveva, ed ancora ha il potere di farlo.
Insomma,
quello che emerge da questo film è una realtà che tutti conosciamo,
eppure non vogliamo vedere; assistiamo ogni giorno alla distruzione
dell'arte a vantaggio del guadagno, in un'Italia che troppo spesso
premia i furbi ed i prepotenti, piuttosto che gli artisti e gli
onesti. Ci ritroviamo in quello che, ripeto, definisco il “Medioevo
dell'Arte Italiana” dove in ogni campo ciò che si è creato in
secoli di evoluzione sta gradualmente andando in frantumi. Perché
mai, per essere valorizzato, un italiano meritevole deve essere prima
scoperto (sempre che ciò accada) negli altri paesi?
Questo film
dimostra come l'arte non sia affatto supportata per privilegiare la
spazzatura che oggigiorno riempie le sale dei cinema, le librerie, i
palchi ed in negozi di musica. Questa pellicola è arrivata nelle
sale italiane, ma è stata proiettata pochissime sale. Può esserci
stato un problema di pubblicità, forse, ma è possibile che sia
stato dato così poco rilievo a qualcosa di cui potremmo andare
fieri?
Un'altra
ipotesi che posso sollevare, ed è quella che più mi terrorizza, è
che la colpa di tutto ciò potrebbe non essere solo di quei pochi che
continuano a propinare alla gente questa spazzatura, ma anche di
coloro che hanno scelto di vivere per ciò che gli viene offerto,
senza più ricercare e ragionare con le proprie teste: un essere
umano dovrebbe essere in grado di decidere secondo i propri gusti,
non secondo standard editoriali promossi per identificare una massa.
Che gli italiani abbiano smarrito realmente la propria identità
artistica e culturale?
- G.G. Pintore
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